Il racconto di una delle più celebri parabole raccontate da Gesù, quella del buon Samaritano (Lc 10,25-37), è preceduto da una domanda posta da un dottore della Legge: «Chi è mio prossimo?». Vocabolario alla mano, scopriamo che la parola “prossimo” deriva dal latino proximus e significa “vicino”: il prossimo è letteralmente colui che ci è vicino.
Proviamo a immergerci nell’atmosfera della Palestina di duemila anni fa ad osservare la situazione che si crea in quella lunga strada che collega Gerusalemme a Gerico e cerchiamo di capire cosa significhi “prossimo”.
L’uomo vittima dei briganti
Il primo personaggio della parabola è un uomo qualunque, che non viene descritto proprio per evidenziare che potrebbe essere chiunque. È partito da Gerusalemme e sta tornando a Gerico, forse a casa sua. Lungo il tragitto cade nelle mani dei briganti e viene picchiato fino a rischiare di morire. Ai tempi di Gesù era molto pericoloso percorrere le strade fuori città da soli, perché erano infestate da malviventi, era perciò comune venire aggrediti.
Gesù usa questa immagine per dire che ciò che è capitato a quell’uomo potrebbe accadere a qualsiasi uomo, potresti essere tu!
La situazione è molto grave, il malcapitato ha bisogno di aiuto.
Il sacerdote e il levita
La strada, forse per timore dei ladri, non era molto trafficata. Il primo “prossimo” che l’uomo aggredito incrocia sulla propria via è un sacerdote; quest’uomo va considerato come una persona esemplare, conosciuta e ben stimata, lui è colui che ha donato la sua vita a Dio e presta servizio al tempio.
Il secondo “prossimo” è un levita, cioè un uomo appartenente alla tribù di Levi, il cui compito era quello di aiutare i sacerdoti nel servizio al tempio: una figura altrettanto esemplare. Perché queste persone, che nell’immaginario dell’epoca erano dei modelli, non aiutano quest’uomo che ha bisogno di aiuto? Forse per paura, perché temono di essere aggrediti anche loro; forse per indifferenza, perché è più semplice far finta che non ci sia un problema, anziché risolverlo. Papa Francesco insegna che «la paura è un atteggiamento che ci fa male» e «l’indifferenza è la malattia più brutta che possiamo avere», purtroppo tante persone sono ammalate di ciò.
Il Samaritano
Il terzo “prossimo” che percorre quella strada e incontra l’uomo morente è un Samaritano; va considerato che ai tempi c’era un forte razzismo contro i Samaritani, che erano infatti emarginati. Ma colui da cui non ci si aspetterebbe un atteggiamento caritatevole è il primo che aiuta l’uomo aggredito. E non lo aiuta in modo generico, ma gli fascia le ferite, gli versa sopra olio e vino (che erano dei beni costosi) e lo porta in una locanda perché qualcuno abbia cura di lui; ma soprattutto ha compassione di lui. Il Samaritano non è vittima dell’indifferenza, egli patisce insieme all’uomo (da qui il termine “compatire”: “patire con”) e lo aiuta; lui è capace di mettersi nei panni degli altri, anzi, di farli propri.
Il mio prossimo
Chi è allora il “prossimo” in questa vicenda? Il dottore della Legge si risponde da solo: «Chi ha avuto compassione». Allora è vero che la parola “prossimo” significa “vicino”, ma non su un piano spaziale, bensì su un piano emotivo.
La società di oggi è vittima dell’indifferentismo, propone l’immagine del self-made man ed è illusa che “chi fa da sé fa per tre”. Ma questa parabola ci dimostra il contrario, che abbiamo bisogno dell’aiuto dell’altro e non c’è nulla di sbagliato nel lasciarsi caricare sulle spalle di un altro.
Ha ragione papa Francesco quando denuncia l’indifferenza, perché è nel momento in cui guardiamo solo a noi stessi che non riusciremo più a compatire e ad amare l’altro. E il buon Samaritano è proprio Gesù, che sceglie di farsi nostro prossimo e di prendere il nostro peso sulle sue spalle, ha compassione di noi e soffre con noi. Ma non gli basta salvarci, desidera che anche noi diventiamo come lui per portare il suo Vangelo a tutti: «Va’ e anche tu fa’ così», anche tu vai da chi è più solo e ama chi ti è prossimo come ho fatto io!
Tratto dal numero 4 (aprile 2023) di “Fiaccolina”